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SGUARDI CRITICI

 

La fabbrica degli stronzi (ft. Kronoteatro)

Illuminante incontro tra la compagnia Maniaci d'Amore e Kronoteatro, co-prodotto dal Teatro Nazionale di Genova (e nella scorsa occasione accolto nell'attento programma dell'Elfo di Milano) lo spettacolo indaga l'universo del vittimismo, con tre figli attorno alla salma della madre... Amarezza abrasiva, parole semplici e crude per seminare la riflessione. Cresce il teatro di qualità.

                                Paolo Fallai, Corriere della Sera

Lo spettacolo, molto divertente ma non privo di tinte livide, funziona non soltanto perché il lato grottesco è sempre contrappuntato da una sfumatura amara, ma anche perché questa spinta agrodolce è il frutto di incontro artistico riuscito.

Non era scontato che due compagnie, entrambe con una cifra espressiva molto netta e una pratica di scrittura consolidata che ne delinea l’identità artistica, fossero in grado di trovare un punto di incontro dove parlare una lingua comune. Così è stato, e “La fabbrica degli stronzi” è forse persino un passo avanti interessante nel percorso delle due compagnie, entrambe impegnate sul fronte del grottesco, perché nel confronto con l’altra formazione i quattro artisti hanno saputo far uscire una vena leggermente malinconica, un contrappunto amaro che accende di toni poetici la loro critica del presente, ancora una volta livida ma questa volta più attenta ai contorni emotivi dell’infelicità.

                                 Graziano Graziani, MinimaetMoralia

Siamo di fronte a una commedia nera, dell'orrore, sui luoghi famigliari, che ha la sua piena riuscita nel tenere alta la tensione ironica e, a un tempo, la profondità amara dell'introspezione. I Maniaci d'Amore e Kronoteatro si sono incontrati e riconosciuti all'incrocio amaro tra sarcasmo e tenerezza, costruendo un lavoro originale in cui maneggiano con attenzione, cura e umanità il registro del grottesco, senza scadere mai nel patetico o, peggio, nel ridicolo. I funerali si fanno insieme, i vivi e i morti. Ognuno deve fare la sua parte. Qui non è così, e allora ridiamo, ma c'è ben poco da stare allegri. La fabbrica degli stronzi ce l'abbiamo in casa. 

                                Matteo Brighenti, Hystrio

Si regge per intero su una scrittura calibratissima e dai toni grotteschi, giocata fra il detto e il non detto, dai riverberi amarissimi. Nella essenziale scenografia di Francesca Marsella, d’Amore, Maniaci e Tommaso Bianco reggono i ruoli con salace immedesimazione davanti al letto in cui Maurizio Sguotti si presta, suo malgrado, ad essere perfetta madre, fantasma presente di un mondo sempre più in disfacimento.

                                Mario Bianchi, Krapp Last Post

Caustico e tragicomico lavoro di Maniaci d’Amore e Kronoteatro che mettono a nudo frustrazioni ed idiosincrasie in un vortice di humour piacevolmente irriverente. (…) Persino di fronte alla morte della propria genitrice, i fratelli trovano spazio per il battibecco in una sottile lotta per la coppa di dannato caduto più in basso (...) Un quadro surreale e di strisciante esasperazione che gli attori hanno sostenuto con ritmo, scatenando ripetutamente un’ilarità a tratti fuori luogo per l’amarezza di fondo che ripercorre l’intera messa in scena (…) In chiusura capiamo di aver assistito al cazzotto che le due compagnie hanno voluto assestare al mondo benpensante che vede sempre e comunque la famiglia come luogo sicuro …"

                                   Martina Corsi e Leonardo Favilli, Gufetto Press

“Siede la terra" dei Maniaci d'Amore... sarebbe stato senza dubbio la drammaturgia più brillante dell’intero festival se non avesse dovuto dividersi il podio con un altro spettacolo – ma forse addolcirà questa consapevolezza il sapere che il concorrente è "La Fabbrica degli Stronzi", anche questo nato dalla collaborazione tra Maniaci d'Amore e Kronoteatro. I due lavori sono impeccabili.

                                       Giuseppe Di Lorenzo, Altre Velocità

 

Siede la terra. Fenomenologia della pettegola

La fertile intuizione dei Maniaci è un’affilata provocazione sul nostro 
senso di comunità. (…) Un inno d’amore in forma di ingiuria. Insomma, teatro finalmente.

                                                     Paolo Fallai, Corriere della Sera


Si ride, e molto (…) in questa brillante drammaturgia, labirintica nel suo procedere per salti temporali e accumulazioni (…) Con sagacia, d’Amore e Maniaci illuminano i vizi di un piccolo mondo: eppure non c’è manicheismo o presunzione nelle loro parole, quanto una divertita comprensione…

 

                                                       Alessandro Iachino, Stratagemmi

 


Un intelligente e liberatorio libello teatrale (...) Grazie a una scrittura agevole e pignola, si costruisce una  gabbia drammaturgica all’interno della quale i dialoghi sferzanti tra madre e figlia, somministrano pillole di esilarante realismo (...) le risate piegano la platea che si riconosce in quell’assurdo e che, con pudore, si azzittisce quando affiora la tragedia in alcuni passaggi…

                                                     Lucia Medri, Teatro e Critica

La drammaturgia è una scrittura tagliente, fresca, briosa. Un dispositivo quasi perfetto. Un gioco meta-teatrale che gradualmente si sviluppa per accumulazione e climax ascendenti fino a consegnare al pubblico il caleidoscopico e paradossale ritratto di una comunità sbandata e falsamente predicatrice. Chapeau.

                                                   Renata Sava, Scene Contemporanee

Per saperci avvicinare i Maniaci suggeriscono di riconoscere che sono le nostre voragini interiori che ci fanno essere umani… La speranza di un futuro è nell’amore ardente dei giovani… Un senso che il titolo suggerisce beffardo nell’ombra…

                                                   Matteo Brighenti, PaneAcqueCulture

 

Petronia. Il desiderio segreto dei fossili

 

Un bizzarro apologo fantastico, capace di penetrare a fondo, seppur in modo lieve e spiazzante, nelle pieghe del nostro presente (...) uno spettacolo di sferzante crudezza nel suo vagabondare tra realtà, paradosso e finzione, una riflessione potente, camuffata da commedia strampalata, sulla prioritaria necessità di speranza che ognuno di noi concede al sogno, o ad un Dio che forse esiste; una speranza che in definitiva solo la vita può darci...

               Mario Bianchi, Hystrio

“Il desiderio segreto dei fossili” è un piccolo gioiello di scrittura, tutto sul filo dell'ironia ma soprattutto dell’intelligenza.

 

               Tommaso Chimenti, Recensito

 

Uno dei migliori spettacoli visti in questa estate di festival (...) Tra leggerezza e ironia, Francesco d’Amore e Luciana Maniaci imperlano la scrittura di stoccate raggelanti, corrosive, nerissime. Uno spettacolo affilato, profondo, divertente, estrosamente intelligente, dalla drammaturgia finalmente universale, in grado cioè di richiamare temi sociali senza inseguirli retoricamente e al tempo stesso di inventare una cornice fiabesca dal retrogusto amaro degna di Scaldati

 

              Giulio Sonno, Paper Street

“Il desiderio segreto dei fossili" è di fatto una distopia comica che usa i mezzi poverissimi del teatro per allestire una drammaturgia intrecciata attorno a simboli e questioni universali, ma soprattutto in grado di creare un immaginario vivo per quanto strampalato. (...) In un proliferare di battute taglienti e ben sagomate sull’assurdo paesaggio disegnato dalla drammaturgia il testo scorre affrontando temi capitali; al centro c’è la maternità, che svela il senso del sacro nell’epifania finale: la realtà entra nella finzione cortocircuitando le emozioni del pubblico...

 

               Andrea Pocosgnich, Teatro&Critica

 

Di alto tenore poetico, oscilla tra paura e desiderio, questa favola delicata e divertente, dura come la vita.

 

               Mariateresa Surianello, Il Manifesto

 

Parole dette con il cuore che batte, anziché con la lingua che mente, rappresentano "Il desiderio segreto dei fossili" di Maniaci d’Amore. Un gioco a incastro tra teatro e televisione, un labirinto tra realtà e finzione in cui Francesco d’Amore, Luciana Maniaci e David Meden, affrontano con poetica e sferzante ironia dell’assurdo l’immobilità tanto del nostro Sud (e dell’Italia in generale) quanto della nostra scena teatrale contemporanea. 

 

              Matteo Brighenti, Pane Acqua Culture 

Per la ricerca drammaturgica felicemente in equilibrio tra diversi registri, che manifesta una propria originalità in un panorama troppo spesso incline a riprodurre modelli riconoscibili. Per la capacità di mantenere una definita identità autoriale, e di mostrare una tensione alla crescita di complessità (nell’ultimo Il desiderio segreto dei fossili).

               Segnalazione di Stratagemmi per il Premio Rete Critica 2017

Vero/falso, realtà/televisione, tradizione/novità, femminile/maschile sono alcune delle dicotomie affrontate dai tre interpreti, molto giovani ma già molto maturi, in uno spettacolo divertente, a tratti esilarante, ma complesso e fecondo. Far ridere con intelligenza e senza essere scontati, ecco la sfida che la compagnia Maniaci d’Amore riesce a vincere.

 

               Alfredo Sgarlato, Albengacorsara

 

Il nostro amore schifo

I Maniaci d'Amore sono una coppia di talenti anomali, (...)  un duo che fin dal nome sembra baciato dal destino. E' raro vedere due personalità così complementari: lei petulante, fintamente sottomessa, in realtà volitiva, lui tutto scatti e balbettii nevrotici, entrambi marionette sghembe, maschere stralunate. A Melting Milano hanno portato due spettacoli, diretti da Roberto Tarasco. Biografia della peste si basa su un'idea geniale: un ragazzo muore travolto da un'auto e la madre gli impone di fingersi vivo per non far brutta figura di fronte al paese. Ne Il nostro amore schifo una ragazza riceve un fidanzato come dono di compleanno, e restano insieme senza piacersi, tra poesie dissennate e stragi famigliari. Ma al di là delle trame, è folgorante la loro scrittura feroce, surreale, piena di guizzi macabri, tutta al servizio di un travolgente estro interpretativo.

                   Renato Palazzi, Il Sole 24 Ore 

El talento de esta pareja que escribe, interpreta y se dirige se queda para siempre... Al acabar la función deseamos volver a verlos en cualquier otro espectáculo e incluso repetir este... Todo es fresco, divertido, negrísimo... El color lo pone la brillante energía de la gran pareja protagónica.

                  Horacio Otheguy Riveira, Cultura Mas Madrid

Il folgorante Il nostro amore schifo è una storia d'amore convenzionale battuta al coltello dell'umorismo nero, cioraniano. Lui, un depresso smidollato aspirante poeta, vive pensando a quanto sia facile morire: in pratica è il suicidio a salvargli la vita. Lei, innamorata della prim'ora ma non della seconda, si consola facendo le torte e sognando un bilocale con terrazzo, piante e riscaldamento autonomo. Lei è per il 'per sempre', lui solo 'per ora', anche se poi le parti si invertiranno. Il risultato è una pièce di adorabile cinismo in cui si ride molto e ci si agghiaccia ancora di più.
 
                   Camilla Tagliabue, Il Fatto Quotidiano

 

 


Una folata di novità e freschezza drammaturgica. Uno spettacolo intelligente, divertente e irriverente, cui non mancano momenti grotteschi di un cinismo misto a una comicità che può rinvenirsi in alcuni testi di Ayckbourn o Ionesco. Davvero bravi i due giovani protagonisti. Da quello che ho visto sono nate due stelle. Li rivedremo entrambi quanto prima, statene certi.
 
                    Gigi Giacobbe, Hystrio
 
 
 


Si ride con immediatezza, mentre si intravede, nello svolgersi veloce delle scene, spesso buffe, acide, grottesche, un eccellente lavoro di ammiccamenti colti, una squisita mistura di divertita ferocia e malinconia. In “Il nostro amore schifo” si svelano, con apparente lieve agilità e una brillante spietatezza, i disagi che si vivono in famiglia, le difficoltà affettive, le torture dei ruoli, le sofferenze interne alla coppia. Un testo fresco, denso di un'ironia profonda, concreta, aspra. E bravi davvero i due interpreti.
 
                   Valeria Ottolenghi, La Gazzetta di Parma
 
 
 


"Il nostro amore schifo" ha la rara capacità di associare ironia generazionale e di coppia ad una teatralità strutturata e consapevole: da un lato ridiamo dei motti di spirito, dei siparietti, battute e contro-battute, micromimica e gesti plateali; dall’altro ci accorgiamo – progressivamente – che lo spettacolo ha una partitura rigorosa, formata da alcuni dei più consueti e funzionali meccanismi della scena. (…) È talmente evidente questa (giovane) maturità teatrale che, Il nostro amore schifo, mantiene l’immediatezza comica data dalle irrisioni e dagli scherzi senza che il loro accumulo in sequenza sia fine a se stesso (…) Noi ridiamo, ma quel che resta infine è un sapore oscuro, agro in fondo e veritiero: non saremo ciò che pensavamo di poter essere e ce ne accorgeremo soltanto quando già saremo stati.
 
                  Alessandro Toppi, Ilpickwick
 
 
 


Il nostro amore schifo è uno spettacolo minuto che indaga i meccanismi della relazione di coppia e che ha nell’essenzialità espressiva la sua forza detonante, come un sibilante cortocircuito che infonde nell’apparente leggerezza il dubbio che si stia parlando di situazioni ben più complesse e sentimenti vittime di derive emozionali. La loro leggerezza, dunque, ha un valore di contrasto e si fa lancinante e astuta, componendo dialoghi amorosi in cui rispecchiare il disamore, come un respiro si specchia nell’asfissia.
 
                   Simone Nebbia, Teatro e Critica
 
 
 


Convince per la frizzantezza dell’approccio e della dimestichezza con le pratiche di messa in scena. Per la padronanza nell’intervenire chirurgicamente con la sicurezza del professionista. (...) Stupore per i coup de theatre (ripetuti) nel finale. Intelligenti, di uno spettacolo intelligente.
 
                   Emilio Nigro, Il Tamburo di Kattrin
 
 

 


La coppia di interpreti usa gli stereotipi per un incalzante tiro al bersaglio. Sono due stralunati comici, capaci di rimanere sul filo di un’anti-recitazione che strizza l’occhio a certi intellettualismi e si sporca però di piacevoli sonorità dialettali che riportano la relazione su un piano quotidiano. Raccontano a modo loro una storia d’amore, con salti lunghi decenni, concentrazione degna del teatro sintetico dei futuristi. Sono caratteri, più che personaggi veri e propri, fotografati  mentre si lasciano vivere, ma con una tensione e un’ironia da spaesamento che ricorda i personaggi del Nanni Moretti prima maniera.
 
                      Andrea Pocosgnich, TeatroeCritica
 
 
 


Di questo piccolo ma arguto lavoro sulla banalità della vita e sulla mancanza di vero senso dei luoghi comuni che ne decidono le traiettorie, colpiscono gli allegri ma continui rimandi ad un’idea del consorzio umano che fu di Gaber, fin quasi a risalire alla sconfortante tesi cooperiana della famiglia quale fonte della nevrosi moderna. Se avete visto qualcosa dei migliori Scimone e Sframeli, non potete che osservare come a Il nostro amore schifo, (...) non fanno difetto le situazioni e i dialoghi surreali, gli alti ritmi che si alternano a lunghi silenzi, i continui rimbecchi fra i protagonisti, i gesti quotidiani e banali che mettono inquietudine, un certo retrogusto amarognolo, i ribaltamenti di umore e di pensiero, quel sentore di qualcosa d’importante che potrebbe accadere ma forse non accadrà mai. 
 
                  Antonello Fazio, weboggi
 
 
 
 
Di notevole interesse (...)  Il nostro amore schifo, in cui una coppia un po' strampalata, che sembrerebbe uscita dalla matita di Peynet, ci trascina, dopo poche battute, in un mondo altrettanto surreale, ma feroce nella sua lucida assurdità (siamo dalle parti di Achille Campanile). In una luce beffarda e grottesca, cui non sono estranei i temi dell'autodistruzione e della morte, emergono e si declinano, le nevrosi, le frustrazioni della sbandata odierna generazione dei ventenni, in cerca di un ubi consistam affettivo.
 
                 Claudio Facchinetti, persinsala

 

La crepanza

ll duo, nel corso di una manciata di spettacoli ha maturato una verve surreale personalissima, impostata sui paradossi di ambientazione e dialogo tra figure che esplorano con ferocia e ironia le dinamiche esplose delle relazioni umane del nostro tempo. (...) Uno spettacolo divertente e acuto, che sceglie di sgretolare nel nonsense tematiche importanti come il ruolo della fede in un mondo secolarizzato e la necessità di sentirsi amati, per darci poi modo di ricomporle grazie a dei guizzi nella scrittura, in virtù dei quali i personaggi – così adimensionali nel loro essere vettori di idiozia – assumono spessore e profondità nel momento in cui rivelano le loro umanissime fragilità.

           Graziano Graziani, Minima&Moralia

 

La malinconia dei contenuti e l’ironia dei dialoghi fanno dello spettacolo una “commedia al rovescio” estremamente forte e coinvolgente. L’utilizzo di toni grotteschi e tragicomici, che rendono lo spettacolo leggero e godibile nonostante l’importanza dell’argomento trattato, rimanda all’universo dei racconti di Saunders, dove lo scrittore descrive un futuro prossimo distrutto e desolato, in cui soltanto piccoli gesti di umanità e gentilezza sono capaci di far rinascere la speranza.

 

          Jolanda di Virgilio, Persinsala

 

 

"La crepanza" diverte amaro, anzi anche dolce: nonostante il contesto disastroso, fa molto ridere. (...) Le sensazioni trasmesse alla platea sono liquide, per nulla spiacevoli. Con La Crepanza i Maniaci d’Amore scolpiscono la loro peculiarità. Sono una compagnia a due, compatta e necessaria ad esprimere proprio quella comicità che dall’efferatezza passa al riso, e amareggia e stordisce, e rianima e ricarica. Le loro storie, che poi sono molto vicine, hanno bisogno di quel linguaggio e di quell’intesa. Dopo, il diluvio. 

 

          Maura Sesia, Sistema Teatro Torino

I Maniaci sembrano ironizzare sul legame di coppia (...) ma più alto è il vero tema: ragionano sulla propensione che ognuno di noi ha nel dare un senso alla propria vita cercandolo fuori da sé. (...) Lo fanno con una drammaturgia che funziona, basata su nonsense, alternanza pop d'alto e basso contenutistico, e affiatamento attoriale, (...) confermando la progressiva crescita del duo.

          Alessandro Toppi, Hystrio

Tra danze frenetiche e ragionamenti da Piccolo Principe (...) lo spettacolo assume connotati da opera pop (...) tingendosi di aure beckettiane e di riflessioni dostoevskiane riguardanti i grandi temi che affliggono l'uomo, come la solitudine, la fede, la morte, chiedendosi(ci) se l'amore sarà in grado di salvare l'umanità intera. 

            Gigi Giacobbe, Sipario

Una tragicomica e paradossale vicenda che ha nella colta profondità del testo la sua qualità migliore. Una distopica profondità e una divertita, feroce leggerezza, una profondità apocalittica, senza smaccate citazioni, eppure densa di cultura teatrale, spettacolare, televisiva, letteraria... Un’incredula eppur necessaria energia che colpisce ed insieme diverte e coinvolge il pubblico.

           Paolo Randazzo, RumorScena

 

Morsi a vuoto

I Maniaci d'Amore ci parlano (sintetizzo al massimo) della difficoltà a esistere di Simona/Luciana, prima in visita da uno psicanalista, poi visitata in casa da un ladro. Morsi a vuoto è una commedia che versa ironia e citazioni (anche musicali) su un che di amaro e profondamente dolente. Più che mai qui l'ironia è uno schermo, un tentativo di smussare. (…) Morsi a vuoto è nell'eccellenza.

 

                    Franco Cordelli, Corriere della Sera

 

 

 

C'è continuo stupore e scoperta nei dialoghi folli ed eccentrici di “Morsi a Vuoto”, nutriti di energia (...) Niente è lasciato al caso in questo dipinto scenico, preciso e cesellato con minuzia certosina. (...) Alla base delle creazioni iconoclaste di Maniaci d'Amore c'è certamente cultura ed anche un'attenzione spasmodica al linguaggio, che è fonte di celia e di gioco e che nutre i tanti paradossi su cui si snoda la trama. (...) Si ride, tanto, e si piange almeno un po'. E' il nuovo teatro che va. Bene così.

 

                     Maura Sesia, Repubblica

 

 

 

Indicano una strada i Maniaci d'Amore con questo loro spettacolo: il tempo della risata non è per nulla superato nel campo artistico (...) Sul filo resistente del surreale mescolato al paradosso e all'assurdo (...) Morsi a Vuoto invita a riflettere sul senso del riso nel contemporaneo. (...) La sola differenza da tenere bene presente è quella tra un teatro ben fatto e un cattivo teatro: quello dei Maniaci d'Amore rientra nella prima specie.

 

                  Pierfrancesco Giannangeli, Hystrio

 

 

 

Una drammaturgia ben tornita che fa del disincanto di questa nostra generazione, del cinismo (...) mai un anatema o un motivo di pesantezza. Al contrario ne prende gli aspetti più paradossali e li propone in una chiave irriverente e teatralmente vincente anche per la bravura di entrambi gli attori nel sostenere la vivacità e il funambolismo dei loro dialoghi. (...) Così si suggellano due dialoghi, perfettamente simmetrici anche per la vincente triplicità del ruolo, adorabilmente eseguita da Francesco d’Amore e quindi permeati di un surrealismo e di gustosa leggerezza che scandaglia la venatura psicologica della vicenda. Sono tutti ingredienti per una drammaturgia coesa in tutti i suoi punti, a tratti persino ingegnosa nei suoi meccanismi espressivi e strutturali che fanno della pièce uno spettacolo prezioso.

 

                  Ester Formato, Teatrionline

 

 

 

La cura meticolosa, un ricercato minimalismo formale, e un lavoro sul testo fino all’invenzione di neologismi e invenzioni letterarie, rendono ragione a questo duo di grandi e promettenti autori e interpreti, capaci, insieme a non molti altri, in verità, di portare una folata di novità drammaturgica per un pubblico sempre più attento e intelligente nella ricerca di storie, ambiti e spettacoli che non siano la riproposizione sempre dello stesso.

 

                  Giancarlo Visitilli, La Repubblica

 

 

 

Una lieve e divertente commedia in cui i due autori e protagonisti prendono in giro le insicurezze giovanili fatte di compiacenza accordata goffamente, di ricerca di forti emozioni, di smania di possedere beni palliativi. Un buffo teatro dell’assurdo alleggerito e sgomberato di quella cappa di angoscia che in molti casi funziona da pena aggiuntiva. E di fronte alle cose brutte del mondo, all’infanzia difficile, alle famiglie distratte, alle liti e ai tradimenti dei genitori, la loro risposta è lo scherno gentile, ammesso che lo scherno possa essere gentile, ma i Maniaci d'Amore ci riescono.

 

                  Alessandra Bernocco, Quotidiano Europa

 

 

 

Ho visto cose che noi umani… per dire: non so se avete presente i Maniaci d’Amore. Di recente hanno portato in scena «Morsi a Vuoto», per la regia del venticinquenne (sottolineasi: perché è raro trovare in una stessa frase sia “regia” sia “venticinquenne”) Filippo Renda.  «Morsi a Vuoto» è una pièce che ha a che vedere con l’angoscia di chi non è capace e non vuole immaginarsi un futuro (…) Non so se vi capiterà di imbattervi in «Morsi a Vuoto», nel corso dell’estate. Se sì, andate a vederlo. Ne vale davvero la pena.

 

                 Giuseppe Culicchia, La Stampa

 

 

 

Un lavoro sulle diverse forme di comicità, a volte anche disperata, che tuttavia non adombra una profonda e cruda riflessione sulla natura umana.

 

                 Alessandra Lacavalla, Corriere Spettacolo

 

 

Il fondo tragico di una vita sottolineato da un sorriso amaro in perfetto equilibrio tra umorismo e drammaticità.

 

                Uno spettatore (opinione raccolta da TIPStheater)

 

 

 

d’Amore e Maniaci sviluppano l’azione ricorrendo a dialoghi surreali, acuti e divertentissimi, a cui fa da sfondo per contrasto una scenografia inquietante, composta interamente da oggetti macchiati di sangue acceso. (…) Il paradosso tuttavia è voluto, è la coerente conseguenza della sconfortante e disincantata visione della condizione umana che traspare dietro l’ironia e le risate.

                Enrico Piergiacomi, Teatro e Critica

 

 

 

In poco più di un’ora i Maniaci d’Amore, grazie a un visibile affiatamento di coppia e a dialoghi ironici e a tratti deliranti, strappano risate al pubblico, ma al contempo scandagliano l’animo umano. Il risultato è una visione grottesca e disillusa di due figure umane che sembravano morte e sepolte, e invece stanno tornando prepotentemente in auge, alla costante ricerca della felicità terrena a discapito di una sempre più inutile felicità spirituale, perché in fondo la via più semplice non è mai quella impervia.

 

                Nicola Delnero, Paper Street

 

 

 

“Morsi a vuoto” conferma le capacità dei Maniaci D’amore nel trattare il fare teatrale e l’efficacia dei loro testi per le scene maturando una competenza drammatica che comincia a diffondere un certo agio nel loro stare sulle tavole. Nel percorrere a menadito i saperi assunti, ci giocano come si gioca con le regole da trasgredire conoscendole a menadito, disegnando in scena una bi-dimensionalità di personaggi e storie, svelate e criptice, meccanismi denudati e rappresentazione pura. Citazioni e conoscenza.

 

Emilio Nigro, Rumor Scena

 

Biografia della peste

Vince per l'intuizione allegorica di fondo e le soluzioni linguistiche fresche e scanzonate. Un'intuizione attraversata con leggerezza e semplicità capaci di restituire un'amarezza imprecisata ma incisiva. Racconto ironico e ritmato di un luogo "spento", inerte, da cui uscire al più presto, se solo se ne avessero le forze. Partendo da una intuizione di grande potenzialità offre belle invenzioni e molti spunti divertenti in equilibrio sul difficile confine, poco frequente in genere nella drammaturgia italiana, tra comicità, ironia drammatica e surrealismo.

 

                     Motivazione della Giuria del Premio Il Centro del Discorso 2011

Tra gli studi che si distinguono per originalità e coraggio. 

 

                    Ciro Esposito, dagli appunti della tappa napoletana Selezione Premio Scenario 2011

 

I Maniaci d'Amore sono la prova più convincente che una vocazione alla drammaturgia, una fiducia ostinata nelle risorse del testo, è, nella cultura teatrale italiana, un dato ormai acquisito in modo ineludibile. (…) "Biografia della Peste" realizza, rispetto al precedente "Il Nostro Amore Schifo", uno scarto ulteriore verso una direzione ancora più coraggiosa e radicale. (...) La prima parte della pièce, solo apparentemente più brillante e lepida, ha, in realtà, un dettato aggressivo, cattivo e anticonformista a cui non solo la scena teatrale italiana più recente, ma si sarebbe tentati di dire (se non si temesse di esagerare) l’intera scena culturale italiana più recente ci ha ormai disabituato. (…) Apologo sulla vita e sulla morte o esplicitazione di una scioccante, e “radicale”, pulsione alla fuga, "Biografia della Peste", dinanzi a tanto talento (vero o presunto) sprecato del teatro italiano, oppone quello che solo il genio può. E tanto ci basta.

 

                      Dario Tomasello, Ateatro

 

"Biografia della Peste" è un insolito surreale spettacolo molto ben scritto che lavora su più piani per intrigare e affascinare il pubblico (...) Bello l'intersecarsi di fiabe, il sovrapporre il destino odierno con il racconto di un'antica epidemia di peste che sembra quasi il contraltare dello sgomento contemporaneo, destino e specchio del presente. "Biografia della Peste" si regge su una drammaturgia sulfurea e spiazzante, ironica e graffiante, ma anche sulla presenza dei due autori-interpreti, che non sbagliano mai una pausa e non perdono mai il ritmo e sanno coniugare all'impegno simpatia e comunicativa, freschezza e autenticità, e con i tempi che corrono certo non è poco... 

 

                      Nicola Viesti, Hystrio

 

Il divertentissimo, oltre che ben scritto e interpretato “Biografia della peste” (...) è uno spettacolo che lascia il segno. Diverte, emoziona e fa pensare. Non solo perché denso di apparati di vita quotidiana di noi tutti, ma perché un’opera universale, avendo al centro di tutto il rapporto dialogico e quasi paranoico della vitacon la morte. (...) Un surrealismo assolutamente e tipicamente quotidiano mettono in scena d’Amore e Maniaci. E sono irresistibili...

 

                     Giancarlo Visitilli, La Repubblica

 

I Maniaci d’Amore (...) ospiti per la prima volta al Festival delle Colline Torinesi, offrono al pubblico tre quarti d’ora di divertente ironia, ma anche profonda riflessione su temi quali la vita, la morte, l’autonomia, il proprio percorso in mezzo agli altri. Due sole persone sul palco riescono a dare il meglio di sé con la sola aggiunta di un frigorifero, una sedia a rotelle e un cavolo. (...) Applausi a scena aperta per un lavoro brillante dal quale è stato tratto anche un film.

 

                     Roberto Mazzone, Teatro.org

 

 

I Maniaci d’Amore dimostrano di essere giovani nel senso più vero, per la novità diversa e “maleducata” con la quale si presentano al pubblico (...), una straordinaria mancanza di disciplina, in grado di dar vita a innesti insoliti e creazioni grottesche, spiazzanti, inserite all’interno di un contesto contemporaneo per mettere in crisi e scardinare i luoghi comuni dell’essere, amare e morire.

 

                    Lucia Medri, TeatroeCritica

 

Un lavoro brillante e a tratti geniale che vive della splendida affinità tra i suoi due autori-attori, i quali riescono a dar vita a una storia tanto surreale quanto simbolica e convincente.

                    Carlo Griseri, Cinemaitaliano.info

 

Contrappunto e ritmi serratissimi sono i connotati sonori e visivi di un’eccentrica Peste ritratta da due corrosivi e talentuosi interpreti e drammaturghi (...) La messa in crisi di ogni valore o presunta massima filosofica in un’intrecciata storia di morte che si rivela spietato ed accattivante requiem.

 

                     Vincenza De Vita, Rumor(s)cena

 

 

Piacevolmente straniante l'effetto di questo spettacolo di matrice "psicotica" creato da una giovane coppia di attori-drammaturghi che promette bene e di cui, crediamo, sentiremo riparlare in futuro. (...) La non-storia di questa fiaba bifronte per adulti riesce a coinvolgere perché parla di una patologia comune: l'incapacità di aspirare a una vita migliore capendo che l'amore è l'unica miscela in grado di appiccare il fuoco alle nostre anguste vitucce. 

 

                     Michele Weiss, La Stampa

 

 

"Biografia della peste” divora e rigetta con bulimia ogni possibile classificazione in generi(...) E' uno spettacolo scomponibile, una satura lanx di tableaux scenici attraversati da innumerevoli filtri interpretativi, che descrive la solitudine sociale, l'alienazione prodotta dalla liquidità dei consumi, l'angoscia di umanità liofillizate e scadenti, per riportare la parola alla luce della sua funzione sociale. (…) Maniaci d’Amore presentano un'opera cauta d'introspezione storica che trae le sue armi analitiche dalla psicanalisi trasformata in copione. E curano in quest'opera una drammaturgia che non solo descrive con livida sagacia l'impoverimento concettuale dei nostri tempi, ma che dà lezioni di filosofia del linguaggio a colpi di comicità cupe.

 

                     Vittoria Lombardi, Klpteatro

Onirico, fiabesco, grottesco, iperbolico e simbolico: il microcosmo di Biografia della peste è punteggiato di ciascuna di queste componenti. (…) Brandendo l’arma dell’ironia con l’eleganza del fioretto, quel che ne sortisce è affresco feroce, tratteggiato con pennellate sferzate con arma da taglio, discorsi acuminati, quantunque veicolati da una leggerezza capace in più punti di suscitare il riso, ma che non pare mai andare a detrimento dello spessore contenutistico dell’opera, in ciò avvalendosi di una padronanza del meccanismo scenico che fa di Biografia della peste felice esempio di giovane drammaturgia contemporanea coniugata ad una attorialità già piuttosto matura.

 

                    Michele Di Donato, Ilpickwick

 

L'inizio di Biografia della peste è fulminante. (...) I Maniaci d'Amore, alla maniera delle intriganti coppie teatrali delle "Cantine Romane"degli anni'60, cercano d'imprimere un segno nuovo, muovendosi nei labirinti d'una scrittura scenica surreale, stregata, visionaria (…) Il loro è uno spettacolo da sballo, fatato e attraente come i due giovani protagonisti, che con un linguaggio fabuloso riescono a far ridere raccontando le cose più terribili.

 

                    Gigi Giacobbe, Sipario

 

Sono una presenza quasi inaspettata, in questa edizione del Festival delle Colline Torinesi i Maniaci d’Amore. In tanta cura per la ricerca formale, per l’essere a ogni costo innovativi o provocatori o alteramente elitari, in tanto rigido rigore apparente cui diventa quasi inopportuno chiedere sostanza, eccoli lì, spudoratamente fuori schema. (...) Il loro "Biografia della peste" è un racconto vago, cattivo, visionario e genuinamente anticonformista, spietato nello stigmatizzare qualunquismi radicati, tenuto in equilibrio volutamente precario tra comicità, tragedia e grottesco surrealismo. (...) I due insieme sono complementari, paiono una coppia artistica affiatata e rodata da decenni, con una propria forza e un progetto artistico chiaro da perseguire con urgenza...         

 

                   Monica Bonetto, Sistema Teatro Torino

 

Il testo, che rimbalza sulle corde del surreale, ha una vocazione introspettiva che indaga sulle dinamiche dei rapporti interpersonali madre-figlio, uomo-società, uomo-amore, non nascondendo una critica sociale velata e quanto mai attuale. Il tutto è condotto dai due giovani attori con un ritmo veloce, in modo divertente e divertito, abolendo tutti i pregiudizi che spesso lo spettatore ha quando si avvicina ad un teatro surreale e simbolico. (...) Uno spettacolo piacevole di relazione e comunicazione, nato su argomenti tragici ma dai toni spiccatamente comici, con rimandi all’immaginario del cinema e della musica contemporanei.

 

                   Antonella D'Arco, Quartaparete

 

Quello della compagnia Maniaci d’Amore è un teatro-terapia che sa curare e che sa scavare nel profondo della coscienza.  (...) Il pubblico vive il viaggio con entusiasmo, grazie alla recitazione umana ed epidermica degli eccezionali interpreti. Giovani, abili, solo due, eppure sembrano quattro  (...)  raccontano un amore che nasce nell’oltretomba, un tentativo di sanare le pieghe di un rapporto materno asfissiante, la ricerca di un dialogo profondo e lontano con un padre. Un riassunto non banale di alcune tracce sociali. I dettagli sono curati e la loro presenza scenica è magnetica. I movimenti del corpo di Chris sono nevrotici, intensi, energici e chiaramente collocati nello spazio. Sembra quasi danza ed è un piacere farsi trasmettere quelle vibrazioni corporee vicinissime al disagio.

 

                      Francesco Colaleo, ilpickwick

Quando dei giovani artisti si trovano a decidere di raccontare la propria generazione, il vivere nel proprio tempo, di fronte a loro hanno infinite strade. Una delle vie meno battute, delle più impervie e insieme più potenzialmente ricche di soddisfazioni è quella dei simboli, delle favole, delle distorsioni surreali e creative. Il bello dei simboli, è che non finiscono, non si esauriscono. Il simbolismo dei Maniaci d’amore è felice perché mostra quel di più di senso, quella ricchezza produttiva e arricchente. C’è la morte e la famiglia, l’amore e la nevrosi, la provincia e le sue chiacchiere, il limbo in cui la nostra generazione vive alla disperata ricerca di un varco per crescere, costruire, programmare, diventare a propria volta famiglia, non per forza perfetta né felice, ma propria, nuova, personale. La morale, il lieto fine è tutto qui: diventare anche noi, finalmente, infelici a modo nostro.

 

Giacomo Lomborizio, Paper Street

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